Anche le foglie hanno gli occhi (racconto breve di Stefania Nigro)

Rieccoci ad un nuovo racconto! Dopo lunghe e pressanti richieste mi sono decisa a pubblicare un’altra storia. Spero di non deludervi o annoiarvi troppo. E’ opportuno precisare che fatti, luoghi e persone NON sono puramente casuali (credo infatti che la realtà sia di gran lunga più interessante della fantasia) ma, per ovvie ragioni di privacy, modificherò i nomi e sarò molto generica sulle coordinate geografiche.

Anche le foglie hanno gli occhi.

Ridentissimo paesino dell’Italia del nord, arroccato sul cucuzzolo di una montagna (perennemente, o quasi, sepolto dalla neve); circa 2000 anime. E Sara le conosceva tutte. Si fa presto, in fondo. Nel percorrere tutte le mattine i 100 metri di strada che separavano la sua abitazione in affitto dal posto di lavoro aveva il tempo, e il modo, di salutare l’intera  cittadina, alternando i “buongiorno”, i “salve” e i “ciao”.   

A Sara piaceva vivere lì, nonostante ci fossero 11 mesi di duro inverno e uno solo di rigida primavera. Il panorama era davvero spettacolare e la popolazione accogliente e molto calorosa. L’unico grande neo era il “forte interesse” che suscitava nella gente. Tutti si domandavano chi fosse, cosa ci facesse lì, quanti anni avesse, che marca di biancheria intima indossasse e come si fosse creata quella minuscola, impercettibile, macchiolina di candeggina sull’orlo dei jeans. Insomma, per non tirarla alla lunga, veniva passata quotidianamente ai raggi X e, per dirla in parole povere, tutti si facevano i fatti suoi.

La ragazza però capì ben presto che il pettegolezzo era lo sport cittadino più praticato e il primato veniva conteso fra i vari membri della popolazione. Infatti, già dal secondo giorno di permanenza, la macellaia del paese le aveva raccontato tutto (ma proprio tutto eh?) sull’edicolante e sua moglie, sui proprietari della birreria, sul sindaco e sul prete. Non tralasciava però, durante i vari racconti di rivolgere alla povera ragazza, frastornata dal freddo e dalle chiacchiere, domande personali, in una sorta di Do ut Des. Fare resistenza era assolutamente fuori questione. Bisognava rispondere, anche con dovizia di particolari, poiché la signora aveva addentato, ringhiando, il polpaccio della sventurata e strattonava affondando gli incisivi quando non era contenta delle risposte poco esaustive, a suo dire.

Nel giro di due ore tutta la strada era stata informata a dovere, almeno a giudicare dall’insolito pellegrinaggio, nato spontaneo, verso la macelleria. E Sara lo capì dal fatto che anche l’unico vegetariano del paese sostò in quel luogo di culto per venti minuti e ne uscì con un sorriso mistico sul volto. Dopo quattro ore tutto il centro abitato si sollazzava con pettegolezzi freschi-freschi e prima dell’ora di cena anche la periferia godeva di nuovi argomenti di discussione.

A parte questo inconveniente vivere lì era davvero un incanto. La nostra eroina fece presto amicizia con diverse persone e si trovò molte cose da fare per passare il tempo. Conobbe anche Sandro, gentile e simpatico signore attempato che però, tutte le volte che la vedeva, non resisteva dal metterle le mani addosso, in modo frenetico. La toccava ovunque, velocemente, come se avesse avuto 10 mani, tranne che nelle parti intime. Ora, poco male, dato che Sara indossava ogni sorta di indumento per proteggersi del freddo, converrete, però, che la cosa dovesse essere abbastanza fastidiosa. La giovane, tuttavia, riconosceva in Sandro una tale gentilezza e genuinità che proprio non le riusciva a dirgli di smettere di toccarla.

Una sera fu invitata ad una cena dal gruppo di teatro e con cinque macchine si scese a valle. La serata passò piacevolmente tra le obbligatorie “chiacchiere” paesane, quattro risate e le solite mani di Sandro addosso, ma arrivò il momento di tornare a casa. Sara salì sulla prima macchina. Guidava Gilda, squisita e delicata donna di mezza età. Al suo fianco c’era Pino, noto gentiluomo. Seguiva poi la macchina di Mario, con Sandro a bordo, e tutte le altre dietro. Dopo neanche 500 metri dalla vettura di Mario cominciarono a partire strani e incomprensibili segnali luminosi. Prima una lunga serie di segnalazioni con gli abbaglianti, poi la freccia alternata a destra e sinistra, in seguito tutte e quattro insieme e colpi di clacson occasionali. La serie si ripeteva senza logica, ma nella prima macchina ci si chiedeva cosa stesse succedendo. Sara ebbe un’intuizione ed esclamò: – Non è che Mario ha qualche problema con la macchina e sta segnalando di fermarci?- Pino annuì e disse: – Probabile.- Poi continuò: – Gilda, accosta e fermati, vediamo che cosa è capitato.- Gilda scalò subito marcia e rallentò fino a fermarsi sul ciglio della strada. Tutti guardarono verso sinistra nell’attesa che Mario li raggiungesse e facesse lo stesso. Invece si videro sorpassare dalla sua macchina, lanciata a tutto gas, con Sandro che dal lato destro del finestrino sorrideva a bocca larga e salutava. E così fecero le altre macchine che seguivano. Inutile spiegare come rimasero i prodighi soccorritori. Si guardarono attoniti riproiettandosi in testa l’intera vicenda. Dove avevano sbagliato? Perché erano arrivati tutti e tre a quella conclusione errata dato che la realtà dei fatti li smentiva e nessuno aveva bisogno di aiuto? Passarono alcuni secondi di incredulità e silenzio poi Pino disse:- Gilda, per favore, riparti e torna in testa.- Riguadagnata la coda e tornata in testa alla carovana, indovinate un po’? Tutto come prima. Continuavano le segnalazioni senza senso, né logica, né ritmica. Sara disse timidamente:- Beh, forse ha un guasto elettrico al quadro e non se ne è neanche accorto!- Ma nessuno le rispose. Tutti si guardavano.

Dopo diversi chilometri si arrivò finalmente alle prime luci del paese e ognuno prese direzioni diverse. Pino si rivolse alla moglie flautando soavemente:- Gilda, tesoro, accosta vicino alla macchina di Mario perché avrei bisogno di colloquiare con lui.- Giunti nella piazzetta Pino abbassò il finestrino a manovella con signorilità mentre Mario lo imitava. Poi urlò con accento romagnolo:- Mario, ma che “casso” volevi?-. Mario, con tutti i vestiti in disordine, fu preso da simil-convulsioni e indicando Sandro con entrambi gli indici, in modo concitato disse:- E’ lui, è lui! Dio bono! Non solo mi ha infilato le mani dappertutto ma ha toccato ogni tipo di leva e bottone della macchina. Sembrava un indemoniato. Scendi, scendi subito brutto “passo”.- disse a Sandro. Il giorno dopo si venne a sapere, e questa volta non dalla macellaia, che Sandro soffriva di una “leggera” forma di iperattività. Cosa che all’andata non si era evinta.

In ogni luogo pubblico e privato si rideva della vicenda; perfino il prete, durante la messa, con una risata strozzata, fece un accenno alla storia, invitando tutti alla comprensione. Ora, nell’insieme anche il nome di Sara veniva menzionato e il suo apporto un “tantino gonfiato”. Ma a lei non importava, aveva altro per la testa. Quella sera sarebbe arrivato Luca, il suo ragazzo. Si frequentavano da poco ma stava iniziando una storia. Venne sera, e lui arrivò.

Il mattino dopo, di buon ora, mentre Sara si vestiva disse:- Senti, io devo andare a lavoro. Torno verso l’una. Ti lascio le chiavi, se mai volessi uscire. Va bene?-. Mmmmmmmh- si sentì rispondere da sotto le coperte. Un suono di assenso? E uscì. Luca si svegliò verso le dieci e pensò:- Mi faccio una doccia.- Così entrò nella cabina intonando la solita canzone “I’m singing in the rain”. Si sentiva sereno, rilassato. Niente gli avrebbe rovinato quella sensazione di pace e benessere. Ahimè, quanto si sbagliava! Perché, mica era sfuggito alla macellaia che “un uomo” aveva passato la notte da Sara.

Si era appostata dietro le finestre, a mò di piccola vedetta lombarda, armata di binocolo, per controllare entrate e uscite. E poi, come era potuto capitare che non sapesse niente di quest’uomo? Pensava di aver spremuto per bene la giovane donna. Questo pensiero non le fece chiudere occhio. Sara era uscita presto quella mattina, e lui era ancora in casa, dunque. Solo, indifeso. Chi era? Cosa faceva? Perché era lì? E perché, dopo tante ore, LEI ancora non aveva scoperto niente? Animo, animo!- Pensò. – Ora vado dalla Gina!- Chiuse la macelleria affiggendo il cartello “TORNO QUASI SUBITO” e attraversò la strada.

La Gina (altra nota pettegolona ultraottantenne) aveva affittato casa a Sara. Al resoconto dei fatti trasecolò. Chissà quale sordido intrigo internazionale doveva nascondere la ragazza se aveva omesso di parlare di quest’uomo. Bisognava a tutti i costi SAPERE. Ne andava di mezzo la sicurezza dei concittadini e dell’intero paese, dopo tutto. Si sentì un’eroina, forse le avrebbero dato anche una medaglia. Che onore! Ghe pens mj- esclamò. Afferrò tremante una bolletta della luce e attraversò la strada, di nuovo. Avrete capito che il “centro” consisteva in un’unica via, vero? La macellaia si nascose in mezzo alla vegetazione di un cespuglio che era fuori dal bar. Le si vedevano i capelli, ma poco male. Era il punto di osservazione migliore. La Gina, con piglio determinato, allungò il suo dito storto dall’artrosi verso il campanello e suonò decisa.

Luca era appena uscito dalla doccia e aveva appena indossato il SUO accappatoio (portato da casa sua) quando sentì suonare. – E’ lei!- pensò. – E’ riuscita a farsi dare un permesso ed è tornata prima.- Si diresse tutto bagnato verso il citofono e si disse: – E perché suona?- Poi vide le chiavi nella toppa della porta e si ricordò che non poteva averle lei. Gliele aveva lasciate. Alzò la cornetta e chiese meccanicamente: – Chi è?- Sono la Gina, la proprietaria di casa. Ho una bolletta per la Sara!- disse con fortissimo accento romagnolo. – Mi apra!- ordinò. Luca fu preso da un attimo di indecisione poi spinse sul tasto dell’apertura del portone, giù nelle scale. –Sono la Gina!- ripetè la signora da sotto. Signora- gridò il ragazzo. – Sara non c’è e io non posso scendere. Per favore, lasci la bolletta nelle scale, la vengo a prendere dopo!- E in tutta risposta – Sono la Gina. Non sento. Ho una bolletta per la Sara.- Signora, la lasci lì, non posso scendere adesso- gridò più forte Luca. E lei – Non sento! Sono la Gina! Mi venga incontro chè non posso fare le scale!- disse col solito accento “romagna mia” Il ragazzo sentiva rantolare la vecchia signora a causa dell’evidente affanno. – Non è che questa mi muore?- Pensò. E su questo funesto presagio decise di andarle incontro in infradito e costume adamitico. Ma al terzo scalino sentì una gelida ventata, un forte rumore di serratura e la tipica botta che una porta fa quando ti si chiude alle spalle. Ebbene si! Era ufficiale. Era chiuso fuori di casa. Decise di cominciare la simpatica enumerazione dei santi a partire dal primo gennaio e, quando la Gina riuscì a scalare la vetta delle scale, era arrivato a San Simplicio, 10 marzo. Ma cosa ha fatto?- disse la Gina, fingendo di non sbirciare le umide nudità del giovane. – I vivacci tuoi!- pensò Luca. – Signora, si è chiusa la porta, come faccio adesso? La signora disse:- Vado a prendere l’altro mazzo di chiavi. Mi aspetti qui eh?- Dove cavolo vuoi che vada in accappatoio?- pensò lui. E aggiunse il santo dell’11 marzo, così, giusto per non fargli un torto. La Gina scese la rampa di scale, prese il mazzo di chiavi e raggiunse nelle fronde del cespuglio la macellaia. Ma ci si stava stretti in dieci.

Cominciava ad arrivare pubblico! Fatta una breve cronaca si accinse a scalare nuovamente la vetta, sempre rantolando. Una volta davanti all’uscio disse:- ecco, provi con questa, è la copia esatta delle chiave.- Ma, per quanto lo sventurato e infreddolito ragazzo provasse, la porta non si apriva. – Signora- disse – c’è la chiave da dietro, non si aprirà mai e poi mai. Vada a chiamare qualcuno-. La Gina: – Cosa? Non sento! Provi, provi!- Signora – disse lui alzando il tono della voce – Non si apre, c’è la chiave nella toppa da dietro.- La Gina: – Che ha detto? Non sento bene. Provi, provi ancora.- Signora – disse a denti stretti e a bassa voce lui – Ora basta! Adesso sfondo la porta!- Miracolo! – Aspetti! Si fermi! Vado a chiamare qualcuno!- disse la vecchiaccia. Il santo del 12 marzo aveva compiuto il prodigio. La signora ci sentiva! Ah, i vivacci tuoi un’altra volta! Ora che voglio sfondare la porta ci senti? – Pensò il giovane con le stalattiti di ghiaccio al naso. La signora corse (si fa per dire) giù in strada e chiese aiuto, spiegando meticolosamente la situazione, alle 100 persone lì riunite, senza tralasciare il fatto che il ragazzo era praticamente nudo, con solo indosso il minuscolo accappatoio di SARA. Comunque sia, si aprì il TOTO RIENTRO IN CASA cittadino. Dopo varie ipotesi profuse sul come entrare nell’appartamento, Giovannino, operaio del comune, ebbe l’idea finalmente geniale. Corse (e questa volta sul serio) a prendere la gru usata per appendere le luminarie delle feste e si fece sollevare fino alla finestra del primo piano. Ruppe il vetro, entrò in casa ed aprì al giovane, ormai mummificato dal gelo.

A onor del vero c’è da dire che molte donne, quelle sposate per prime, si davano da fare per rifocillare Luca con ogni genere di conforto e, ovviamente, per dare un’occhiata birichina e sentire una “botta” di vita guardando le sue membra ormai anchilosate dal freddo.

Intanto si era fatta l’una e Sara camminava svelta verso casa. Ma qualcosa non andava, si guardava intorno. Vicino al cespuglio, sotto casa sua c’era troppa gente in giro, tutta insieme poi. Tutti ridevano e tutti la osservavano. Si, è vero, la scrutavano sempre, ma quel giorno sentiva che era diverso. Una volta a casa comprese il perché di quel comportamento paesano.

Nei giorni successivi la vicenda, passata di bocca in bocca, prese risvolti inimmaginabili, del tipo “lui che indossava solo il perizoma di lei”. E vi risparmio il resto. Che ve lo dico a fare? L’unica cosa vera era che Luca era rimasto chiuso fuori casa, il resto è fanta-storia.

La morale di questa storia? State attenti quando passate vicino a dei cespugli; non si sa mai chi può esserci dentro: anche le foglie hanno gli occhi!

Stefania Nigro

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Quando prende fuoco un camino del Sud (racconto breve di Stefania Nigro)

Un Commento a “Anche le foglie hanno gli occhi (racconto breve di Stefania Nigro)”

  • midiesis:

    Il presente racconto era già stato pubblicato su midiesis.it nello scorso marzo, sulla precedente piattaforma che è andata persa. Lo ripubblico nuovamente.
    Vedasi anche: Quando prende fuoco un camino del Sud (racconto breve di Stefania Nigro)

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