MIA E LA VORAGINE. Noterelle di lettura di Vincenzo Palmisano

Dopo Orazio, figlio d’arte del poeta dialettale sanmichelano, ecco Diana, figlia d’arte dei due intellettuali sanmichelani Rosaria Gasparro e Mimino Ligorio, esordiente nella narrativa con il libro “Mia e la voragine”, Terra Rossa Editrice.

Appena è uscito, l’ho subito acquistato e l’ho centellinato.

Fin dalle prime battute ho capito che avevo tra le mani un libro singolare, nuovo, diverso.

Innanzitutto, la trama, emancipandosi dal modello della narrativa tradizionale, si dipana con un andamento zigzagante, sussultorio e accattivante.

Il libro è una grande affabulazione, uno spettacolo verbale ricco di allitterazioni, metafore, similitudini, onomatopee, in uno stupefacente fuoco d’artificio di immagini.

Ogni capitolo è la registrazione di un evento che genera altri eventi e sorprese a non finire.

La prosa, insaporita da un linguaggio pop, ha il ritmo sincopato del jazz.

Il tema centrale del libro è l’eterno rapporto conflittuale madre-figlia.

La madre di Mia Balestra, la dottoressa Alma Distante, è talmente innamorata della sua professione e della cura dei suoi affezionatissimi pazienti da interporre tra sé e la figlia una incolmabile distanza.

Mia naturalmente si sente trascurata, ne soffre e cerca di colmare questo vuoto incolmabile.

Come?. Seguitemi.

La storia-favola di Mia e della madre è ambientata nella terra delle gravine. In una di esse, a ridosso del paesino in cui Mia è costretta a trascorrere malvolentieri tutte le estati, c’è una grande voragine che attrae la sua curiosità.

E un bel mattino, dopo aver a lungo esitato, in compagnia di tre ragazzini suoi coetanei, scende nella voragine.

E da quel momento, il lettore assisterà come in un lunghissimo sogno al viaggio di Mia nelle viscere della terra. Un imbuto abissale misterioso e fatato, dove accade di tutto, l’umano diventa naturale e il naturale muta e si trasforma.

Ometto la descrizione particolareggiata di tutto quello che vedrete e sentirete, per lasciare a voi il piacere della scoperta.

Questa opera prima di Diana Ligorio, a tinte forti e a tratti urticante, non è un libro di evasione o di  intrattenimento. E’ un libro che bisogna leggere. E’ una scrittura, la sua, che scaturisce da un retroterra culturale notevole.

Chi ha dimestichezza con le avanguardie e gli sperimentalismi letterari ricorderà le “Metamorfosi” di Ovidio, “La metamorfosi” e “La tana” di Kafka, la “Centuria” di Giorgio Manganelli, o di altri campioni del funambolismo linguistico.

Grandioso il monumentale “Horcynus Orca” di Stefano D’Arrigo.

Ogni libro lascia qualcosa al lettore. Io mi porterò dentro due capitoli, il 13 (Niente, non le piaceva nessuna di quelle stoffe…) e il 14 ( Svegliarsi quando si compiono undici anni… ), due piccoli gioielli da custodire nello scrigno della memoria.

Il lungo viaggio di redenzione e di liberazione di Mia si conclude.

Chiudo il libro e lo metto nello scaffale accanto a  “Spazi e tempi” di Pietro Tagliente, 2008, e “Istantanea in bianco e nero” di Sara Argentiero, 2009, due altri talenti sanmichelani.

Vincenzo Palmisano

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