Hegel e il copyright (di Francesca Iurlaro)

Francesca Iurlaro

Dal blog di Francesca Iurlaro,  ”Il nomade Deponente“:

Una sorta di inerzia sorniona mi assale tutte le volte che – il più delle volte,  al mattino presto – leggo concetti talmente degni di tal nome da precludere l’accesso a qualsiasi altra nozione per tutta la giornata. L’altro giorno l’incantatore in questione è stato il Cardinale di Cusa e la sua “contrazione”. Che meraviglia di concetto dal sapore cabalistico. 

Oggi è successo con Herr Professor (non fa meraviglia, per la verità). Annoiata come una studentella svogliata – è il mood che ho tutte le volte che devo preparare un esame che presenti anche solo una delle istanze che intendo combattere a vita e che puntualmente, per sopravvivenza universitaria, sono costretta a mandare giù e memoria – apro in cerca di consolazione i Lineamenti di Filosofia del Diritto. Ora che ho un po’ di nozioni di diritto privato, decido di riaprirlo con un occhio diverso – o forse con lo stesso di sempre, per fortuna, o semplicemente un occhio che ha intuito i legami intrinseci della dottrina giuridica col pensiero hegeliano e che si bea dei libri della Scuola Pandettistica su Google Books.
Mi imbatto in una questione annosissima, quella della proprietà sui prodotti di attività culturale e di pensiero, il cosiddetto copyright – ebbene sì, ne parlava già l’Hegel del 1820. E’ in corso un acceso dibattito giuridico concernente la questione se considerare o meno tali opere come facenti capo alla regolamentazione del diritto pubblico o, piuttosto, a quella del diritto privato. Che diritti ho sulla mia opera d’arte? Non vive forse essa di vita propria, una volta che l’ho prodotta? E, se è davvero un’opera d’arte, non dovrebbe essere universale? E, ammesso che lo sia, non dovrebbe perciò essere accessibile per tutti? Mia sorella di otto anni ha deciso che, quando diventerà Presidente del Consiglio, non si dovrà più pagare per godere dell’arte, anche se poi non sapeva molto bene come affrontare quelle cose chiamate “case discografiche/editrici”. Sono sicura che qualcosa si inventerà.
Ma torniamo al nostro Georg. Riportiamo un passo del § 43 dei Lineamenti:

Attitudini spirituali, scienze, arti, perfino cose religiose (prediche, messe, preghiere, benedizione di cose sacre), invenzioni ecc. divengono oggetti di contratto, equiparati nel modo del comprare, vendere, ecc, a cose riconosciute per tali. Si può chiedere se l’artista, lo studioso, ecc. sia nel possesso giuridico della sua arte, scienza, della sua capacità di tenere una predica, di dir messa ecc., cioè se simili oggetti siano cose. Si esiterà a chiamar cose tali attitudini, conoscenze, capacità ecc.; poiché su simile possesso da un lato si negozia e si contratta come su cose, ma d’altra parte esso è un che di interno e di spirituale, l’intelletto può essere perplesso sulla qualificazione giuridica del medesimo, poiché gli sta di fronte soltanto il contrasto: che alcunché o sia cosa o non-cosa (come pure. o infinito o finito). Conoscenze, scienze, talenti ecc. sono certamente propri allo spirito libero e un che di interiore al medesimo, non un che di esteriore, ma esso può altrettanto dar loro grazie all’estrinsecazione un esserci esteriore e alienarli (v. §66-68), in grazia di che essi vengono posti sotto la determinazione di cose.

Il  punto centrale è allora l’alienazione, che permette il passaggio da non-cosa a cosa. Verrebbe da chiedersi se le opere con cui abbiamo a che fare noi siano veramente un prodotto dello spirito libero o piuttosto il prodotto di opinioni che ognuno conserva tanto gelosamente da richiederne la protezione legale una volta espresse in forma d’arte. 
Se l’arte fosse davvero ancora espressione dell’universale e dell’attività dello Spirito, non ci sarebbe bisogno di essere gelosi delle proprie opere. Lessing e Hegel si preoccupavano del fatto che la verità potesse essere a buon mercato: non c’è pericolo, abbiamo frotte di opinioni ad ottimo prezzo.
Als ob die Wahreit Muenze waere!”
 
Francesca Iurlaro

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