CONFERENZA CEGLIESE (di Edmondo Bellanova)

La “benedetta” mania della puntualità mi consente la solita passeggiata in città e di stigmatizzare la “maledetta” consuetudine di non rispettare l’ora dell’appuntamento.

Questa volta mi avventuro tra le strade settecentesche (credo) della città nuova e l’ora è buona per gustare la livida luce del tramonto che riverbera le bianche pareti dritte e alte, gonfie di calce e le linde pietre della ordinata pavimentazione. Sono stradine più larghe di quelle della “terra”, rettilinee, come sparate dall’archibugio di un romantico brigante, silenziose e senza bambini. Piombano giù, verso il corso (la cursië)  dopo aver saltato la pendenza con erte scalinate che, vietando l’accesso alle macchine, sono la migliore protezione per i vecchietti che, tra i comodi appartamenti delle lottizzazioni di via Martina e Francavilla e le  vecchie case dei lori padri, hanno scelto queste abitazioni anguste, con scale mozzafiato, porte e finestrini misurati e spazi ragionati a garantire comunque ogni necessità di vita.

Mi meraviglia che non ci siano crocchi di “antiche” vecchiette alle prese con le rituali operazioni d’un tempo, ma mi devo convincere che le fave non si mozzicano più, la lana non si fila, non si pettegola, non si condividono dolori e  gioie: la televisione ha interrotto ogni collegamento tra la gente.

Le mie “nere vecchiette” stanno sedute davanti all’uscio di casa all’aria buona della prima sera e sono sole e diventano quasi un arredo scenografico per il turista che le fotografa, sicuro d’aver colto l’ultimo respiro di una città che cambia e muore.

Alle 19 e 30 lascio la piccola panca di piazza Plebiscito tutta riccamente addobbata da fitte luminarie con prescritta cassarmonica in onore di Sant’Antonio da Padova e mi siedo al bar 51.

I conferenzieri sono tutti presenti, con la prescritta giacca blu su camicia bianca sbottonata sul petto, e finalmente ho la possibilità di capire i motivi per i quali hanno lasciato una maggioranza per andare a infoltire, o, come diranno, a costituire la “nuova opposizione in consiglio comunale”. Parlano tutti di decisioni prese, ritardate e ostacolate; di accordi mantenuti e disattesi; cose fatte e non fatte, di rispetto tradito e di rapporti umani deteriorati. Si condanna, anche pesantemente,  il sistema di gestione della cosa pubblica da parte della giunta Caroli.

Tutti giustificano il loro comportamento da politici, candidati elettorali, consiglieri ed assessori comunali additando ogni responsabilità della loro scelta al “delirio di onnipotenza, egocentrismo, maleducazione, complottismo, imperialismo”  del Sindaco Caroli.

I saggi consigliano di non mettere bocca tra moglie e marito e poiché c’è anche l’altro proverbio che prevede le peggiori conseguenze per chi si mette tra le parti, conscio della mia ignoranza delle cose politico-amministrative cegliesi,  non esprimerò alcun giudizio.

Azzardo solo l’ipotesi che si siano rotti dei rapporti prima umani con la conseguente caduta d’ogni interesse comune. Come sempre le coalizioni reggono quando non si approfondiscono i temi in discussione, sino al momento in cui si vive in tranquillità un risultato elettorale nell’euforia della vittoria,  poi ci sono le responsabilità, il peso del quotidiano impegno politico e le situazioni in cui si deve dire no anche all’amico, al proprio elettore ed a se stessi e qui vengono fuori le questioni morali, i distinguo, i però che spesso non riescono a coprire i personalismi.

Resto deluso della qualità delle domande formulate dai giornalisti-bloger ed aspetto che “il diavoletto”, con le  solite vignette, sintetizzi la situazione con quel classico sarcasmo cegliese che gli invidio.

Sanmichelesalentino11giugno2016edmondobellanova

 

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