Tradizioni (di Edmondo Bellanova)

Comincio dalla fine: ”Ridiventare una comunità!”. E’ l’ultimo accorato appello di Michele Ciracì diretto ai giovani. L’occasione di tuffarmi nel mare dei ricordi mi è offerta da “Visit Ceglie” che ieri sera (30.09.20159) ha voluto cominciare con “il giovedì di settembre” un percorso verso la riscoperta delle tradizioni della civiltà cegliese.

E’ un vecchio macello comunale (Mac900) che ospita un gran numero di giovani e meno giovani. Ci sono un pò tutte le facce conosciute: Vincenzo Gasparro, Domenico Biondi, Michele Ciraci, Gaetano di Thiène Scatigna Mingetti, Vincenzo Suma (lu bicchierare) coordina Cristina (di cui non conosco il cognome) che sprizza simpatia, voglia di fare e impegno civico.

Per comprendere il fenomeno dei giovedì settembrini di Ceglie il prof. Gasparro parte da lontano e, passando dai greci ai messapi ed ai latini, si rifà alla mitologia per dare dignità storica all’usanza di ritrovarsi in campagna per festeggiare la divinità di Giove (giovedì) dionisicamente con pietanze, canti, balli e laute libagioni.  Canta e recita due poesie in dialetto (una sua e una di Vincenzo Di Oronzo, credo) e rende plastico il senso di appartenenza ad una collettività.

Domenico Biondi resta spiazzato dalla completezza della relazione iniziale di Gasparro, ma trova l’opportunità di lamentare la “mancanza di riferimenti” che sembra connotare la vita sociale della città proprio nel momento in cui i tanti turisti, per fortuna ancora affascinati dal territorio, bramano scoprire usi, consuetudini e tradizioni della società che gli ospita.

Vincenzo Suma rimpiange i “duelli musicali” che allietavano le serate di fine estate  e lamenta proprio la mancanza di musica che oggi sembra connotare i giovedì settembrini.

Poi Michele Ciracì ci fornisce documentazione storica su questa consuetudine tutta cegliese (non ritrovabile in altri comuni anche dove è numerosa la presenza di cegliesi emigrati) ed è interessante scoprire i riferimenti al 1812 ed al 1897.

Resto incuriosito dalle vicende, per tanti versi tragiche, del sindaco Francesco Elia, figlio del più noto cav. Giuseppe e spero di poterne sapere di più.

Chiudo questo mio modesto resoconto di un’interessantissima serata cegliese, riprendendo la citazioni iniziale: anche Michele Ciraci concorda con l’assoluta necessità della riscoperta delle proprie origini e si augura che siano i giovani ad impegnarsi in questo sforzo proprio per riuscire a “ridiventare una comunità”.

Oggi, tante cose e tanti ci dividono creando contrapposizioni spesso senza senso; allora il ritrovarsi nella comune ricerca dei valori fondanti una collettività può e deve essere lo strumento per superare le distanze ed i distinguo che avvelenano la vita sociale di un paese.

Ringrazio le gentilissime ragazze di Visit Ceglie che mi hanno regalato un mazzetto di fichi mandorlati e lasciamo perdere la polemica con i sanmichelani che avrebbero scippato l’idea ai cegliesi; a voi resta sempre lo squisito biscotto e la prerogativa d’essere “città d’arte e gastronomia”!

Torno a San Michele e la grande luna, ancora in eclissi, mi riporta alla realtà e mi accorgo d’essermi fatto predere dall’entusiasmo nello sperare che i sogni possano diventare realtà!

sanmichelesalentino1ottobre2915edmondobellanova

Un Commento a “Tradizioni (di Edmondo Bellanova)”

  • Luigi Calò:

    Mondino,
    condivido tutte le considerazioni emerse dal tuo accorato resoconto della serata culturale che hai vissuto. Ho lavorato dieci anni a Ceglie, insegnando presso la locale Scuola Media “Giovanni Pascoli”. Quegli anni mi hanno permesso di conoscere tanti cegliesi di cui riserbo sempre ricordi squisiti per la loro proverbiale disponibilità ed ospitalità. Oggi spesso mi capita di incontrare alunni già uomini, alcuni già inseriti nel mondo del lavoro, altri universitari in fase di realizzazione e, purtroppo, altri ancora disoccupati in cerca di sistemazione (ahimè! L’incedere del tempo è inarrestabile). In quel periodo, durante i giovedì settembrini, ho partecipato spesso, ospite di amici, ad incontri gastronomici caratterizzati sempre da ricette tradizionali. È vero! In quelle occasioni si respirava un forte senso di appartenenza, di amicizia, di ospitalità che pareva salire dai fumi e dagli aromi delle varie pietanze; in particolare ne ricordo una, la “cipuddat”, a me particolarmente gradita!
    Ottorino, Anna, Donato, Aldo, Masia, Michele e tanti altri amici, che mi hanno onorato ed ancora oggi mi onorano della loro amicizia, mi hanno consentito di partecipare e apprezzare in quei giovedì momenti di comunione, e come ben dici di civismo, che andrebbero alimentati fortemente con il fuoco della passione e dell’amore verso le proprie origini e tradizioni.

    Un affettuoso saluto!

    Luigi Calò

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