Intervista allo scultore-pittore Stefano Cavallo (di Vincenzo Palmisano) – 1^ parte

Intervista allo scultore-pittore Stefano Cavallo – ( Classe III sez. A della Scuola Media Giovanni XXIII di San Michele  Salentino – Anno scolastico 1983-’84 )

Molte delle antiche case di San Michele hanno le facciate adorne di decorazioni in ”pietra gentile”, opera di scalpellini locali, veri e propri virtuosi della pietra ( artigiani –artisti la cui memoria non deve essere dispersa). Queste sculture, oltre a essere una preziosa testimonianza del passato, rappresentano in campo architettonico, l’unica cosa di un certo valore che il paese possa vantare. Per questo vanno rispettate, conservate e protette. Su questo argomento abbiamo voluto sentire lo scultore-pittore prof. Stefano Cavallo, sanmichelano residente a Milano, che da giovane ha fatto anche lo scalpellino insieme al padre.

Ecco l’intervista ( durata due ore ) realizzata in classe il 27, 04,’84 alla presenza del nostro preside prof. Antonio Chionna.

D. ( Cesare Epifani )- Quella pietra che in San Michele si chiama “pietra gentile” da quali cave la prendevano?

R.- Tutta la pietra occorrente per fare i portali, le decorazioni, i balconi delle case antiche di San Michele, proveniva dalle cave di Carovigno, e veniva trasportata sui traini. Arrivava in blocchi grezzi che poi venivano lavorati, levigati dagli scalpellini con infinita passione e pazienza.

D. ( Giuseppe Chirico )- Per portare a termine il bassorilievo di un portale quanto tempo ci voleva?

R.- Tutto dipendeva dalla abilità e dalla velocità di esecuzione dello scalpellino. Si trattava, comunque , di opere che richiedevano un certo tempo perché bisognava procedere con accortezza e delicatezza.

D. ( Rita Urgese )- Abbiamo saputo che lei da ragazzino aiutava suo padre Salvatore che era un maestro scalpellino. Lei, per conto suo, ha mai fatto lo scalpellino?.

R.- Sì, l’ho fatto, anche prima di frequentare la Scuola Artistica di Lecce. Durante le vacanze lavoravo a fianco di mio padre scalpellino, e alcune sue decorazioni in “pietra gentile” ( che voi potete vedere a San Michele ) all’occhio esperto rilevano la mano di mio padre e la mia. La parte eseguita da mio padre appare armoniosa e perfetta, quella eseguita da me, incerta: mio padre non sempre interveniva con successo per modificare il frutto della mia inesperienza.

D. ( Domenico Maffei )- Perché veniva usata la “pietra gentile” e non un altro tipo di pietra?.

R .-Come gli Egiziani furono costretti a usare la pietra, i greci il marmo, gli assiri, gli etruschi, i romani l’argilla, sfruttando il proprio sottosuolo, così i sanmichelani usarono e usano ancora il tufo e la pietra di Carovigno. Quest’ultima servì per le decorazioni delle case, mentre l’altro, il tufo,  più tenero, poroso, friabile, non si prestava alla scultura o alle trabeazioni dei portali, e fu usato per la costruzione degli edifici.

D. ( Lucia Mameli )- Il desiderio di fare lo scultore le è venuto mentre guardava suo padre che incideva la pietra?.

R.- La passione vera e propria per la scultura è nata così: venne a San Michele un daziere, e suo figlio faceva lo scultore, modellava la creta, faceva bozzetti di altare, bassorilievi con soggetti religiosi e profani; abitava in corso Vittorio Emanuele.

Io e un mio amico carissimo, Francesco Paolo Argentieri, lo spiavamo nel suo lavoro, incantati per tanta abilità e bellezza delle sue opere. Fu allora che in me nacque la passione per la scultura, quella che non mi ha mai abbandonato.. A quello scultore rubai un po’ della sua creta ( della quale era tanto geloso ) e intrapresi il mio cammino.

D. ( Pasqualina Monaco )- Secondo lei, architettonicamente parlando, è più bella la San Michele di oggi o quella di una volta?

R.- Potrei dire che rimpiango San Michele antica, ma non è così, perché anche oggi ci sono case molto belle, anche se prive delle decorazioni in discussione. Ora si costruisce con più razionalità e con stile non più locale, né regionale, né nazionale, ma, direi, senza esitazione, con stile internazionale. L’evoluzione culturale, tecnica, scientifica hanno risolto problemi di spazio, di igiene, che ai miei tempi a San Michele erano precari. Oggi il cemento armato ha risolto problemi di espansione, di statica, di tempo e di lavoro. I prefabbricati anche in San Michele stanno lentamente sostituendo non solo il tufo ma anche la “pietra gentile”.

D ( Anna Maria Nigro  )- Quanti scalpellini sono usciti dalla” scuola” di suo padre?.

R.- Ma, a San Michele non c’era solo mio padre. C’erano altri bravi scalpellini.  Un altro bravissimo era Pietro Palmisano ( bisnonno materno del vostro compagno Cesare Epifani ), poi c’era Masino Leo (suocero dell’ex sindaco ins. Azzarito ), che poi diventò impiegato comunale, Cosimino Argentieri, che, sposando una maestra elementare, andò a vivere a Cerignola. Pietro Nacci, che ebbe poi la possibilità di studiare, si laureò e oggi è un bravissimo e stimatissimo professore di Lettere nel Liceo Scientifico di Brindisi. Uno dei discepoli più bravi di mio padre è stato Licchio Ligorio ( che ha vissuto per tanti anni a Torino ) il quale con Carlucci spesso frequentò il mio studio. Gli scalpellini più bravi della zona erano quelli di Ostuni. A San Vito c’era Vincenzo Palazzo ( che, oltre a essere scalpellino, era scultore e geometra ). Mio padre fu allievo di quest’ultimo maestro. Il papà del vostro professore Palmisano, Sippuddo, fece venire da Ostuni gli scalpellini che decorarono la facciata di una parte della sua casa; per me fu una lezione di scultura!.

D. ( Anna Maria Nigro )- Per montare una facciata, un balcone o un bassorilievo si usava malta a base di bolo oppure cemento bianco?.

R.- Il bolo, che è di colore rossastro, si usava soprattutto nella fondamenta. Per sistemare, montare le sculture in “pietra gentile”, essendo questa pietra bianchissima, più bianca del gesso, si usava” tufina” e calce, o polvere di pietra.

D. ( Giovanni Carlucci )- Per imparare il mestiere di scalpellino quanti anni ci volevano?.

R.- Se il giovane apprendista aveva cervello e passione, poteva apprendere tutte le tecniche e tutti i segreti del mestiere anche in un tempo relativamente non lungo. Nel campo dell’artigianato, allora, come oggi, nulla è cambiato: apprende presto e diventa bravo chi veramente ha desiderio di imparare e di realizzarsi.

( continua )

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